"La rivoluzione antispecista è la rivoluzione del terzo millennio e riassume tutte le rivoluzioni degli ultimi secoli. Le riassume e le ricomprende tutte perché contesta non specifiche discriminazioni, di genere, di razza, di posizione sociale ed economica, di età, ma l'idea stessa della discriminazione, ed estende il rifiuto delle discriminazioni a tutti gli esseri senzienti. Ammettere una ragione qualsiasi per discriminare pone a rischio qualsiasi pretesa antidiscriminatoria". V.POCAR

domenica 6 maggio 2012

I cacciatori: l'unica specie protetta!




Ho provato a ricostruire il rocambolesco iter del referendum piemontese sulla caccia e sebbene sia consapevole della difficoltà insita nel compito che mi prefiggo, cercherò di condividere con voi quanto appreso, rendendo il più agevole possibile la lettura dei dati normativi e giurisprudenziali che mi accingo a citare!

Malgrado la difficoltà, reputo necessario il tentativo! 

Quel che accade oggi in Piemonte non calpesta soltanto i desideri e i sogni di quanti, come me, anelano all'abolizione della caccia...ma offende le legittime aspirazioni di tutti i cittadini italiani ad una normativa cristallina e comprensibile!

Cercherò di schematizzare il percorso:
  • Tutto ebbe inizio nel lontano 1987, allorquando, con notevole impegno e fatica, si riuscì a raggiungere il numero di firme necessario per l'indizione di un referendum regionale, avente ad oggetto varie disposizioni della legge sulla caccia della regione Piemonte n.60/1979.
  • Un anno dopo, la regione interessata, se da una parte dichiarò ammissibili i quesiti referendari, dall'altra, modificò la legge 60/79, mediante l'emanazione della legge n. 22/1988.
  •  Il Presidente della Regione Piemonte - in applicazione dell'art. 32 legge regionale Piemonte n. 4/1973, secondo cui,  nel caso in cui le disposizioni oggetto del referendum fossero state abrogate, prima del referendum, quest'ultimo sarebbe divenuto inammissibile - dichiarò con decreto la cessazione delle operazioni referendarie.      
·       Il problema, tuttavia, fu che l'art. 32 citato, riproduceva sostanzialmente, il contenuto di una norma nazionale (l'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352) che, però, nel 1979, era stata oggetto di una sentenza 68/78 additiva della Corte Costituzionale, che ne aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale, nella parte in cui non prevedeva - essenzialmente - lo spostamento del referendum sulle nuove disposizioni legislative, laddove, sostanzialmente simili.
In pratica, nel caso specifico, l'applicazione della sentenza della Corte avrebbe dovuto comportare l'obbligo di "trasferire" il referendum sulle nuove norme previste dalla legge 22/88! Ciò non avvenne perché, il Presidente della Giunta piemontese ritenne la  legge 22/88 un caso di abrogazione tacita, tout-court della previdente normativa sulla caccia e, pertanto, esulasse dall'ipotesi considerata dalla pronuncia costituzionale!

  • Il comitato promotore impugnò il decreto presidenziale prima dinanzi al TAR ( che, però dichiarò il proprio difetto di giurisdizione in quanto, trattandosi di diritto soggettivo dei promotori all'avvio della procedura referendaria, la giurisdizione spettava al Giudice ordinario)  e poi, conseguentemente, dinanzi al Tribunale e alla Corte d'Appello di Torino che, infine, in accoglimento del ricorso, annullò il decreto presidenziale di cessazione delle operazioni referendarie.
·                    Nelle more dei processi, però, la Regione aveva già provveduto ad emanare una nuova legge sulla caccia (la legge regionale Piemonte 4 settembre 1996, n. 70) che prevedeva (art.59) l’abrogazione delle normative precedenti (leggi n. 60/79 e 22/88).
Inoltre, con legge regionale n. 55/90 (art.4) era stata istituita la Commissione Consultiva Regionale avente lo scopo di valutare l’ammissibilità del referendum alla luce della nuova disciplina!

  • Il Presidente della Regione in ottemperanza alla sentenza della Corte di Appello,  il 6 febbraio 2001 dispose «la riapertura della procedura referendaria, demandando all'apposita Commissione Consultiva Regionale di valutare se il referendum in questione potesse essere effettuato anche con riguardo alla nuova disciplina di cui alla sopravvenuta legge regionale 70/96».
  • Ancora una volta, la Commissione ritenne che la nuova legge avesse recepito le istanze referendarie, che andavano pertanto ritenute inammissibili, e su questa base il Presidente della Regione emanò un nuovo decreto di cessazione della procedura.
  • Il comitato promotore adì, quindi e nuovamente, le vie giudiziali. Questa volta, la sentenza del Tribunale di Torino, confermata interamente nell'impianto dalla sentenza della Corte d'Appello di Torino (n. 1896 del 29 dicembre 2010)  accolse in toto le ragioni del comitato.
  • Al fine di vedere ottemperata la suddetta sentenza della Corte di Appello di Torino, il comitato promotore è dovuto ricorrere, ancora una volta, al Giudice amministrativo che con sentenza n. 200/2012  ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ordinato alla Regione Piemonte di “dare esecuzione alla sentenza Corte d’Appello di Torino n. 1896/2010 con l’adozione da parte del Presidente della Giunta Regionale del decreto di fissazione della data di svolgimento del referendum entro 15 giorni dalla comunicazione in via amministrativa ovvero dalla notifica della presente decisione”, nominando “per il caso di ulteriore inottemperanza, Commissario ad acta il Prefetto di Torino (con facoltà di delegare funzionario della Prefettura di Torino) che, a istanza dei ricorrenti, provvederà nei sensi e nei termini di cui in motivazione”.
  • Con decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 6 del 22 febbraio 2012 e successivo decreto  n.19 del 04 aprile 2012, si è finalmente, stabilito di procedere all’indizione del referendum fissando all’uopo la data del 3 giugno 2012.
Oggi, dopo 25 anni di battaglie legali, a meno di un mese dalla data fissata per la votazione...la Regione, senza alcun ritegno o scrupolo, ci riprova! 

Questa volta  decide di abogare in toto la normativa previgente sulla caccia, al fine dichiarato di scongiurare l'espletamento della votazione referendaria.

La giustificazione addotta è  evitare un eccessivo esborso di soldi pubblici! 

In effetti, a ben pensarci, la Regione ne ha dovuti spendere già troppi per pagare le spese legali di questa inutile battaglia, durata già oltre 20 anni! 

Una battaglia inutile, che certamente non si arresterà oggi!

Una battaglia che non vede vincitori, ma solo moltissimi sconfitti, tra cui in primis i nostri diritti!

Per maggiori info vi consiglio l'articolo dell'associazione italiana dei costituzionalisti.
 

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